Condizioni per una condivisione di condizione
- stasimos
- 29 mag 2018
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Abstact
Secondo la prospettiva conflittualista dell'analisi dei sistemi di welfare, le variazioni tra questi ultimi sono l'esito della diversa capacità degli attori politici e collettivi di articolare, politicizzare ed implementare le domande sociali e di welfare. In un'economia in cui la forza lavoro è stata fortemente ri-mercificata e la modernizzazione è sempre più sinonimo di individualizzazione, in che modo è possibile ritrovare le fila di un discorso politico che porti la dimensione collettiva del lavoro al centro del dibattito?
Parole chiave
Indice
Gli anni del conflitto tra capitale e lavoro……………………………………..... 3
Da una condizione comune ad una rivendicazione di redistribuzione…..........5
L’ambiguità del “social investment”: pari opportunità, non uguali risultati….....9
Introduzione
Prima del 1978 il sistema sanitario italiano era basato su una forma di protezione assicurativo-previdenziale in cui il diritto alla tutela della salute era strettamente legato alla condizione lavorativa. Si era di fatto ben lontani da un diritto di cittadinanza nel senso pieno del termine. Un'impostazione mutualistico-corporativa, quella di tale sistema, che di fatto rafforzava anche nel campo dei servizi fondamentali le disuguaglianze sociali esistenti.
L'azione della classe protagonista di grandi lotte sociali nel corso del novecento, quella operaia, diede vita ad un fermento politico le cui istanze si concretizzarono nell'attuazione di riforme come quella del servizio sanitario. Quella che emerse con l'istituzione del Ssn nel 1978, fu infatti una modalità di legittimazione del diritto alla salute che lo Stato promuoveva e offriva in forma di welfare universalistico e istituzionale ( M. Ferrera, Il welfare in Italia). Fu così che il sistema welfaristico italiano assunse i caratteri di quella forma di welfare individuata da Titmuss come "istituzionale-redistributiva". Struttura in cui si riconosceva allo Stato il compito di provvedere alla protezione sanitaria dei propri cittadini in una logica di maggiore equità ed inclusione sociale (M. Ferrera). Nel 1978 il Servizio sanitario veniva così esteso a tutta la popolazione senza distinzione di condizioni sociali e individuali; secondo modalità che assicurassero l'eguaglianza dei cittadini nei confronti dei servizi.
Gli anni del conflitto tra capitale e lavoro
Il contesto socio-economico in cui prese forma tale assetto del pilastro sanitario del welfare, era quello delle grandi lotte operaie e sindacali, nonché dell'esponenziale crescita del più grande partito dei lavoratori di un paese democratico. Un contesto che si preparava ad accogliere il confronto politico tra capitale e lavoro. Per comprendere appieno le basi politiche delle rivendicazioni che determinarono l'istituzione del servizio sanitario nazionale, bisogna fare però un piccolo passo indietro.
Nel 1970 i lavoratori italiani, insieme alle rispettive rappresentanze sindacali e politiche, chiesero ed ottennero l'attuazione dello "Statuto dei lavoratori": un documento simbolo della conquista di nuovi diritti per il lavoro nei confronti del capitale. Fra questi diritti, anche quelli riguardanti la sicurezza sul luogo di lavoro. Con tale statuto infatti, la legge 300/1970 recepiva in parte le richieste dei lavoratori, ed affermava all'articolo 9: " i lavoratori, mediante loro rappresentanza, hanno il diritto di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute ed integrità fisica".
Una classe compatta, coesa, accomunata dal medesimo stile di vita e da identiche condizioni lavorative. Questo fu il gruppo sociale che conquistò un fondamentale documento come lo statuto dei lavoratori. Con quest'ultimo vennero gettate infatti le basi per un discorso politico che potesse essere accolto anche all’esterno delle fabbriche. Tale fu la dinamica che determinò il passaggio da una questione meramente lavorativa (le condizioni in fabbrica) ad una questione sociale (il servizio sanitario nazionale) (Toth, F., 2014).
Fu sulla spinta democratica (senza dimenticarne gli aspetti più conflittuali) dei sindacati e del movimento operaio, che le domande di riforma entrarono nell'agone politico sostenute da partiti di sinistra in ascesa e sempre più presenti alla guida delle amministrazioni locali. L'eccezionalità del periodo politico, il fermento della società civile e la crisi economica degli anni settanta, furono dunque alla base di un processo di trasformazione del sistema sanitario italiano in direzione di un welfare universalistico-statalistico (Vicarelli, G.). Un cambiamento inimmaginabile in un paese il cui impianto di welfare possedeva (e possiede) solidi tratti di stampo clientelare-corporativo e particolaristico. Una trasformazione che tra grandi difficoltà, eredità storico-culturali e stravolgimenti internazionali, non si è mai sviluppato pienamente. L'attuazione dello “Statuto dei lavoratori” permise a questi ultimi di assumere una dimensione collettiva legittima, rivelatasi poi leva fondamentale per la rivendicazione di diritti che riguardassero la persona nel suo complesso e non solo il semplice operaio. Il forte nesso consequenziale tra dimensione, consapevolezza e azione della classe operaia era già ben evidenziato da Marx. Il filosofo tedesco infatti fece notare come, misure per la protezione degli operai potessero venire imposte solo "attraverso la trasformazione della razionalità sociale in violenza politica; nelle circostanze date noi non possiamo far ricorso ad alcun altro metodo, eccetto quello delle leggi generali, imposte attraverso il potere dello Stato. Con l'imporre queste leggi la classe operaia non consolida il potere al governo. Al contrario questa trasforma quel potere che ora viene utilizzato contro di essa, in un suo proprio agente. Con atti generali essa realizza quello che risulterebbe irrealizzabile con una serie di sforzi individuali. […] Senza un'azione comune di tutte le organizzazioni del movimento operaio è impossibile creare un contrappeso adeguato, capace di fronteggiare le rappresentanze di imprenditori e governi" (Abendroth,W.,1971).
Nella seconda metà del novecento, fu proprio la dimensione collettiva a contraddistinguersi come elemento non rinunciabile delle relazioni industriali. Relazioni che rappresentavano e rappresentano le istituzioni, la rete di relazione fra soggetti, i comportamenti degli attori coinvolti nella realtà economico-sociale (Cella,G., Treu, T., 2009). Relazioni da cui scaturiscono leggi e riforme, non ultime quelle riguardanti il welfare. Relazioni che sono specchio di quel rapporto di forza da cui inevitabilmente deriva il grado di disuguaglianza di una società : il rapporto tra capitale e lavoro (Franzini,M.2016)
Da una condizione comune ad una rivendicazione di redistribuzione:
La riforma del servizio sanitario, ottenuta grazie all’azione congiunta di movimenti operai e politici degli anni settanta in Italia, è di fatto un piccolo esempio di come il sistema di welfare possa significare una de-mercificazione di determinati ambiti delle esistenze delle persone. La sanità, diventando diritto sociale, sottrae di fatto il cittadino lavoratore dalla dipendenza del mercato ( Esping Andersen,1990).
Lo stato sociale costituisce dunque una delle istituzioni che moderano l'impatto del mercato libero. Le disuguaglianze prodotte da quest’ultimo possono essere mitigate da interventi volti a de-mercificare alcune sfere della vita degli individui, concedendogli servizi fondamentali finanziati tramite un'imposizione fiscale. Non a caso in tutte le società analizzate da Colin Crouch nella sua analisi dei paesi europei, la spesa pubblica è cresciuta proprio negli anni di quel compromesso sociale concretizzatosi in Italia con lo "statuto dei lavoratori" e con la riforma del servizio sanitario. Studiosi come Flora e Alber sottolineano come in alcuni paesi occidentali, la variabile storicamente cruciale per l'istituzione di assicurazioni sociali, sia stata la mobilitazione politica dei lavoratori dell'industria coadiuvata dall'apparizione dei primi partiti socialisti e dalla partecipazione elettorale dei lavoratori, ovvero l'affermazione delle democrazie di massa ( Flora e Alber, 1981).
Dopo le parziali riduzioni di disuguaglianza ottenute nel "trentennio glorioso", oggi le società occidentali sono tornate ad avere livelli di disuguaglianza simili a quelli della prima parte del novecento (Franzini, M.,2016). Parallelamente, si riaffaccia nell'agone accademico e politico il dibattito riguardo al concetto di uguaglianza: esaltare un'uguaglianza delle opportunità enfatizzando il merito o puntare ad un'uguaglianza dei risultati in prospettiva di una redistribuzione di risorse in base ai bisogni ? (Crouch, C. , 2001 ) Le riforme del mercato del lavoro attuate da molti paesi europei, sembrano di fatto rifarsi a quell'etica liberale di cui già parlava Colin Crouch. Una forte liberalizzazione dei contratti di lavoro ed una conseguente forte individualizzazione del confronto fra capitale e lavoro, rendono assai difficile lo sviluppo di dinamiche come quelle analizzate nella prima parte di questo testo. Le fasce sociali riconducibili alla “nuova questione sociale” - a differenza della classe operaia, pilastro della società industriale, che aveva compattezza interna e coscienza della propria condizione e della propria forza non rappresentano una classe sociale, non hanno caratteri comuni (Bartocci, E., all’interno di “welfare scandinavo, welfare italiano”).
Si è oggi di fronte alla "ri-mercificazione" di un lavoro che viene di fatto abbandonato alle crude dinamiche di mercato, dando vita alla figura di un lavoratore, quello precario, non troppo dissimile dalla figura appartenente all'esercito industriale di riserva descritta da Marx nel “capitolo 23” del "Capitale" e ripresa da Serge Paugam nel suo testo “Le forme elementari della povertà”(2013): "L'intensità della concorrenza fra lavoratori, determinata dalla pressione esercitata dalla sovrappopolazione relativa, non può essere attenuata che da un'intesa fra lavoratori e disoccupati, ma tale intesa stenta a prendere forma perché gli interessi dei primi sembrano, almeno a breve termine, contrapporsi agli interessi dei secondi" (Paugam, S. ,2013 ). Così la precarietà, da caratteristica comune che permetterebbe ai lavoratori di riconoscersi come entità collettiva, diviene la base per una potenziale competitività che offre un fertile terreno sul quale l’ideologia liberista costruisce la propria legittimità. Quest’ultima infatti non esita ad affermare come l'uguaglianza delle opportunità sia la via più breve verso una società realmente meritocratica.
La realtà sembra però delineare ben altre situazioni: ad un aumento generale delle privatizzazioni e della mercificazione delle esistenze degli individui corrisponde, in mancanza di interventi esterni al mercato, un generale aumento della dipendenza da reddito percepito. Il mercato puro ideato dal neoliberismo non prevede interferenze dall'esterno, questo perché, in tale ottica, la disoccupazione è considerata come necessaria e funzionale al corretto andamento del mercato: i lavoratori in eccedenza sono pronti a rientrare nel mercato del lavoro a qualunque condizione. Così oggi, ad una progressiva perdita di considerazione del lavoro come merce particolare (Marx, K.) è corrisposto un incommensurabile aumento del ruolo del mercato nella determinazione delle strutture sociali. Oggi, ci si aspetta che le persone prendano in mano la propria vita e che paghino il giusto prezzo di mercato per i servizi di cui usufruiscono (Beck, U., 2000).
Questa riflessione di Ulrich Beck è drammaticamente constatabile nel funzionamento del sistema sanitario degli Stati Uniti, simbolo di un’economia a bassa de-mercificazione: un sistema sanitario-assicurativo quasi totalmente privato, diametralmente opposto a quello italiano descritto in precedenza. Quest'ultimo prese forma a partire da un conflitto fra capitale e lavoro, e seppure tali conquiste dei lavoratori degli anni sessanta e settanta furono frutto di un tale conflitto, esse comunque non corrispondevano certamente ad una riacquisizione dei mezzi di produzione. Quantomeno però, rappresentavano un tentativo di metterne in discussione la gestione. Tali conquiste furono la conseguenza di rivendicazioni collettive effetto di una consapevolezza di condivisione di condizione.
In un'economia flessibile della conoscenza come quella che prende forma oggi, di cui flessibilità, specializzazione e innovazione sono i vettori di sviluppo e sopravvivenza, i fattori di produzione sono sempre più gli individui stessi: uomini la cui "normale biografia si trasforma in una biografia della scelta, una biografia del rischio, del "fai da te", che può degenerare molto rapidamente in una biografia del fallimento" (Beck, U., 2000). Sembrerebbe dunque necessario individuare nella precarietà quella condizione comune sviluppatasi a causa sì di stravolgimenti tecnologici ed economici, ma alimentata da un determinato potere politico. Pur volendo credere ad un’improbabile depoliticizzazione della politica, quantomeno negli esiti ottenuti nell’ultimo ventennio da quest’ultima, è evidente come la figura del lavoratore flessibile contribuisca alla frammentazione delle classe lavoratrici e delle loro forme associative. Questo perché esse non trovano più una condizione comune da cui partire per costruire percorsi di rivendicazione.
Il dramma odierno vissuto dal lavoratore non sta nella flessibilità, caratteristica inevitabile di un'economia che fa dell'innovazione tecnologica e del continuo adattamento alla domana i suoi motori, ma nell'assenza di interventi esterni volti ad impedire che il flessibile si trasformi in precario, che il transitorio si trasformi in costante. La diffusione dell'ideologia liberista annientatrice dei sistemi di protezione sociale e del ruolo dello Stato nell'alleviare i crudi effetti del mercato, è stata frutto del capitale. La rivendicazione di sfere dell'esistenza de-mercificate deve essere opera dei lavoratori. Più correttamente, deve essere attuata dai cittadini, anche lavoratori, perché il termine precarietà non connota unicamente la natura di un contratto lavorativo, ma è in esso che si materializza come condizione condivisa. La precarietà e l’insicurezza sono aspetti caratteristici dell’epoca in cui oggi viviamo (Bourdieu,P. , Beck,U., ), “il termine precarietà non connota la natura del singolo contratto atipico, bensì la condizione sociale e umana che deriva da una sequenza di essi; nonché la probabilità, progressivamente più elevata a mano a mano che la sequenza si allunga, di non arrivare mai a uscirne. Nessun settore dell’economia oggi sfugge a tale regola. La precarietà oggi, è dappertutto” (Gallino, L., 2007).
Le ambiguità del “social investment” tra pari opportunità ed uguali risultati:
La precarietà appare oggi come l’elefante nella stanza dei nostri tempi. Una problematica enorme riguardante la maggior parte dei cittadini, ma che di fatto non ha ancora trovato una sua collocazione in un discorso collettivo e politico. Per darle la giusta visibilità è necessario che i soggetti in essa coinvolti creino le condizioni per poterla condividere. La precarietà deve necessariamente divenire il perno di un conflitto che porti ad una concreta redistribuzione di risorse in un’ottica di uguali risultati, e non di pari opportunità. Il drastico calo di rappresentanza sindacale nella maggior parte dei paesi europei, lascia spazio d’azione a logiche di cooperazione fra pubblico e privato, come quella dell’investimento sociale. Teorie, oggi in voga nei corridoi politici ed accademici, che sottostimano il funzionamento dei mercati del lavoro e le forti spinte ancora oggi esercitate dalle posizioni di classe. Conseguentemente, tali idee sembrano sovrastimare il potenziale delle politiche di attivazione, ignorando la questione della redistribuzione, della protezione sociale e dell’assistenza per i più vulnerabili (Cantillon, Vandenbroucke, 2013). Il “social investment”, una collaborazione tra pubblico e privato in una logica imprenditoriale volta alla costruzione di policy, appare facilmente collocabile in un quadro ideologico di stampo liberista. La tesi sottostante il “social investment” incorpora un orientamento produttivista, nel senso che la giustificazione delle politiche pubbliche risieda principalmente nella loro capacità di assicurare il ri-ordinamento produttivista della società (Jessop, B., 2002); legittima il mercato come strumento dell’interesse pubblico, ma controbilancia la dimensione economica con quelle non economiche, come pure il principio di regolazione con quello di liberalizzazione-deregolazione (Giddens 1998); la finalità dell’azione pubblica viene di fatto riformulata in termini di benefici individuali, piuttosto che di correzione degli assetti collettivi, ponendo enfasi quindi sulla redistribuzione delle opportunità piuttosto che del risultato. Termini come “capitale umano”, “public management” ed “investimento sociale”, sintetizzano la volontà di trovare una cura ad un male utilizzandone gli strumenti che l’hanno causato. Soprattutto, non si è di fronte ad un approccio formatosi tramite la collettivizzazione di una condizione, ma calato dall’alto dal medesimo pensiero che nell’ultimo trentennio ha operato in direzione di un progressivo smantellamento del potere di negoziazione del lavoro nei confronti del capitale.
La logica dell’investimento sociale rientra dunque nel paradigma delle pari opportunità. Ciò che però i fautori di tale approccio non possono ignorare, è il persistere di forti disuguaglianze nonostante la volontà di concedere ad ognuno le stesse condizioni di partenza. Poiché la conversione di beni primari e risorse in libertà di scelta può variare da persona a persona, di fatto l’eguaglianza nel possesso di beni primari o di risorse può coesistere, come sta avvenendo, con gravi diseguaglianze nella libertà effettivamente goduta dagli individui. Se davvero oggi si è interessati all’eguaglianza concreta delle libertà (tralasciando qui, mio malgrado, l’approfondimento del concetto stesso di libertà), di fatto pare non vi sia comunque nessun vantaggio nel chiedere l’eguaglianza dei mezzi per raggiungerla anziché cercare l’eguaglianza dei suoi risultati (Sen, A.K.,2010).
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