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Quantomeno porre questioni | Una nota.

Aggiornamento: 29 giu 2020








L'eventuale smobilitazione delle forze di polizia locali in un paese dove chiunque può possedere un'arma, dovrebbe quantomeno porre degli interrogativi. Eppure, in molti, da questa parte dell'oceano, manifestano entusiasmo e urlano a una vittoria del movimento. Un movimento, che sembra stia lavorando al suo interno, in ogni manifestazione, per evitare che l'elemento violento della protesta prenda il sopravvento su una moltitudine che dietro i cartelli "black lives matter" continua ad aggregare le rivendicazioni più disparate contro il padre di tutti i capitalismi.




Le armi, negli Stati Uniti sono un oggetto quotidiano. In molti comodini, sgabuzzini o garage, i cittadini posseggono quantomeno una pistola. In questi giorni, molti americani, molti PROPRIETARI americani, hanno difeso le proprie casette di legno imbracciando dei fucili. Per le strade, suprematisti bianchi armati, gli stessi che hanno occupato con i fucili un palazzo delle istituzioni poche settimane fa, vigilano con giubbotti anti-proiettili e armi di ogni tipo, le vie delle città. L'arma, negli Stati Uniti, è un oggetto quotidiano. Il possibile ritrarsi dello Stato sul terreno della sicurezza pubblica, potrebbe rivelarsi l'ennesima dimostrazione di forza del capitalismo sulle due tragiche e consolidate assi di privatizzazione della sicurezza e responsabilizzazione del cittadino/militare. In un paese in cui le carceri private vengono gestite come un Wallmart e la proprietà privata è sugellata da una bandiera e stelle e strisce e da fucili nei garage, lo smantellamento della polizia locale potrebbe innescare un'escalation di violenza da un lato, e di ulteriori accumulazioni capitalistiche dall'altro ("Bowling a Columbine" / Michael Moore).







Se la sicurezza pubblica viene delegata alle comunità, in un contesto capitalistico che rende tutto mercato e in cui possedere un'arma è un diritto, l'analisi sociologica e storica che ne consegue non merita nemmeno troppa attenzione per quanto risulti semplice e ovvia. Ciò che meriterebbe una riflessione più profonda invece, è il rischio che si correrebbe nell'importare e supportare a-storicamente e a-sociologicamente una protesta che avviene in un contesto profondamente diverso da quello Europeo. Trovarne invece i nodi comuni, tentando di tradurli nel proprio tempo e nella propria storia, porrebbe quantomeno degli interrogativi. Si tratta di domande la cui ricerca di risposte consisterebbe in un'azione politica volta ad internazionalizzare realmente le grandi questioni globali del capitalismo, declinandole nei più disparati contesti. Copiare a chiare lettere slogan e modalità di un movimento lontano, rischia invece di depotenziare enormemente la portata simbolica e performativa di una protesta con cui si deve essere e continuare ad essere solidali, e con la quale non si deve smettere di dialogare. Importare aprioristicamente e totalmente, tattiche e linguaggi di un movimento lontano, equivarrebbe a entrare nel campo di lotta ignorando il proprio posizionamento. Non tradurre in nessun modo simboli e contenuti di una protesta lontana, sarebbe l'ennesimo segnale di una drammatica, totale, populistizzazione.















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