Il reddito di esistenza: due concezioni
- stasimos
- 6 giu 2018
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"In realtà due concezioni del reddito di esistenza si trovano a confronto, a volte presso gli stessi autori: quella che vede in esso il mezzo per sottrarre la vita all'immaginario mercantile e alla messa a lavoro totale, e quella che, al contrario, vede in esso una necessaria retribuzione del tempo fuori lavoro il cui contributo alla produttività del lavoro è diventato decisivo. Ci si deve rendere conto che questa seconda concezione contiene una trappola temibile. A partire dall'idea che il processo di produzione capitalistico trae profitto da tutte le capacità, competenze e risorse sviluppate dalle persone nella loro vita di tutti i giorni, questa seconda concezione considera che tutta la vita è considerata produttiva in quanto produzione di capitale fisso umano. Tutta la produzione di sé è così riportata al lavoro economico. Quest'ultimo è considerato come il suo senso oggettivo. Tutti contribuiscono alla produzione sociale per il semplice fatto di vivere in società e meritano dunque quella retribuzione che è il reddito di esistenza.
Ora, questa concezione non si limita a prendere atto della messa a lavoro totale della persona. Essa la legittima: se il reddito di esistenza "remunera" il lavoro invisibile che è una fonte della produttività del lavoro visibile, questa remunerazione autorizza a esigere che il lavoro invisibile renda effettivamente il lavoro visibile il più produttivo possibile. Si resta così sul piano del valore-lavoro e del produttivismo. Si riconosce al capitale il diritto di esigere che lo sviluppo delle capacità umane avvenga fin dal principio in vista del vantaggio che le imprese potranno trarne, dunque - come stabilisce del resto il "contratto di pluriattività" proposto nel rapporto Boisnat - sotto il controllo di queste ultime.
Il reddito di esistenza ha il senso di un "attacco contro il valore lavoro" soltanto se non esige nè remunera alcunchè: la sua funzione viceversa è quella di restringere la sfera della creazione di valore nel senso economico rendendo possibile l'espansione dell'attività che non creano niente che si possa acquistare, vendere, scambiare contro qualcos'altro; dunque niente che abbia un valore (nel senso economico), ma soltanto ricchezze non monetizzabili aventi un valore intrinseco.
Liberando la produzione di sé dai vincoli della valorizzazione economica, il reddito di esistenza dovrà facilitare il pieno sviluppo incondizionato delle persone al di là di ciò che è funzionalmente utile alla produzione. Sono solo le capacità che eccedono ogni funzionalità produttiva, è la cultura che non serve a niente, che rendono una società capace di porsi le questioni sui cambiamenti che si verificano in essa e dar loro un senso".
Andrè Gorz, L'Immateriale
Centra solo in senso molto ampio, ma mi sembra si vada in quella direzione
"Nella nostra realtà sociale le diverse branche delle scienze non possono che pianificare risposte formalmente universali (cioè programmate per tutti i cittadini), che di fatto si traducono nella risposta ai bisogni del gruppo dominante e nel controllo o contenimento dei bisogni del gruppo dominato. Ogni servizio progettato serve agli organizzatori e all'organizzazione in sé, più che agli utenti, altrimenti non si spiegherebbe, ad esempio, l'enfatizzazione dei servizi sanitari in rapporto alla qualità dell'assistenza prestata. Nella logica del capitale, ogni istituzione diventa un organismo produttivo, dove la finalità e la giustificazione del suo esistere (per l'ospedale: l'assistito) risultano marginali. Per quanto possa apparire paradossale, l'ospedale è fatto…