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Scorie coloniali

Aggiornamento: 27 feb 2020

In tempi recenti si sta assistendo a numerose reinterpretazioni del marxismo in salsa nazionalista e anti-immigrazionista. In un presente solcato da precarietà esistenziali, guerre civili mondiali, "fine della storia" e Diego Fusaro, il tema dell'immigrazione sta funzionando come una sorta di prisma ottico, ma all'inverso.

Se attraverso il meccanismo della rifrazione un prisma è in grado di disperdere un fascio unico di luce policromatica in diverse componenti monocromatiche, al contrario il "campo di enunciati" riguardanti le migrazioni sta incanalando gran parte delle ansietà (economiche, politiche, sociali, ambientali, securitarie e così via) del soggetto europeo contemporaneo in un'unica unità discorsiva.

In questo senso l'immigrazione sta avendo un effetto che potrebbe dirsi meteorologico. Nessun sofisma dietro questa espressione: le traversate del Mediterraneo e gli "sbarchi" stanno decisamente minacciando il primato del "tempo che fa" tra gli argomenti su cui convergono le conversazioni quotidiane, specie quelle a minor intensità contenutistica. Persino gli scritti del filosofo di Treviri, vera e propria base epistemologica e pratica di tutte le sinistre del globo, stanno oggi subendo misinterpretazioni e manomissioni che hanno l'intenzione di rendere le riflessioni di Marx "consumabili" dalle retoriche politiche più propriamente sovraniste e xenofobe. Queste posizioni poggiano su discutibili riletture di alcuni passi delle opere di Marx; alcuni concetti, primo su tutti quello di esercito industriale di riserva (che Marx affrontò nel primo libro del Capitale, VII sezione, capitolo 23, Produzione progressiva di una sovrappopolazione relativa ossia di un esercito industriale di riserva), stanno conoscendo nuove vite e diverse destinazioni d'uso. Certo non si vuole qui negare che tanto la delocalizzazione della produzione quanto "l'immigrazione coatta" rappresentano due strategie costitutive del capitale per abbassare contemporaneamente tanto i costi di produzione quanto il costo del lavoro. Quella particolare categoria prodotta dalla dinamica tra capitale e lavoro che è appunto l'esercito industriale di riserva, è da far derivare dalla sovrappopolazione relativa generata dal capitale stesso in un'economia di mercato: proprio come si evince dalla metafora bellica utilizzata da Marx, i disoccupati e gli inoccupati costituiscono frange di un plotone di lavoratori momentaneamente in disuso, ma pronti ad essere mobilitati alla buona in ogni momento.

"L’esercito industriale di riserva preme durante i periodi di stagnazione e di prosperità media sull’esercito operaio attivo e ne frena durante il periodo della sovrappopolazione e del parossismo le rivendicazioni. La sovrappopolazione relativa è quindi lo sfondo sul quale si muove la legge della domanda e dell’offerta del lavoro. Essa costringe il campo d’azione di questa legge entro i limiti assolutamente convenienti alla brama di sfruttamento e alla smania di dominio del capitale". Marx voleva effettivamente intendere che la presenza stessa di questo esercito di riserva frenasse le rivendicazioni della classe operaia, permettendo ai possessori dei mezzi di produzione di giocare al gioco dell'abbassamento progressivo dei salari. Come si è già accennato, alcuni pensatori d'ispirazione "rossobruna" hanno tentato di rendere questo ed altri passaggi degli scritti di Karl Marx dei veri e propri manifesti del "sovranismo": le politiche di moltiplicazione e rafforzamento delle frontiere e dei respingimenti in mare costituirebbero dunque delle necessarie misure volte a tutelare il lavoro nazionale.


Come ha eccellentemente messo in luce Mauro Vanetti nella "miniserie" in due puntate comparsa sul blog Giap della Wu Ming Foundation (https://www.wumingfoundation.com/giap/2018/06/marx-immigrazione-puntata-1/#buonismo) ciò è quanto di più lontano possa esistere non solo da una qualunque riflessione che voglia autodefinirsi di "sinistra", nonchè dal pensiero di Marx stesso. Vanetti cita a tal proposito alcuni passi dalla lettera scritta da Marx a Sigfried Meyer ed August Vogt del 9 aprile 1870 (https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1870/vogt.htm) in cui si evince chiaramente come il filosofo fosse ben lontano dal suggerire qualsiasi forma di antagonismo fra lavoratori autoctoni ed immigrati; anzi, tale antagonismo "viene alimentato artificialmente e accresciuto dalla stampa, dal pulpito, dai giornali umoristici, insomma con tutti i mezzi a disposizione delle classi dominanti. Questo antagonismo è il segreto dell’impotenza della classe operaia inglese, a dispetto della sua organizzazione. Esso è il segreto della conservazione del potere da parte della classe capitalistica. E quest’ultima lo sa benissimo". Marx sottolinea qui come la contrapposizione di lavoratori a lavoratori, quella oggi trita e ritrita "guerra tra poveri", stesse costituendo uno strumento a disposizione del capitale per frammentare le istanze delle lotte e riassorbire le potenzialità rivoluzionarie delle classi subalterne. È solamente attraverso una ricomposizione internazionale della lotta politica che sarà dunque possibile, secondo Marx, aprire nuove strade per la sovversione dell'ordine capitalistico. Le interpretazioni che vogliono fare del marxismo una teoria/prassi anti-immigrazionista guardano ai lavoratori migranti come a "proletari sradicati", strumenti del capitale per mantenere basso il costo del lavoro. A partire da queste posizioni si manca però di individuare, tanto nelle fabbriche quanto nei campi di Rosarno e di Saluzzo, per non parlare dei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR, ex CIE), degli autentici spazi del conflitto, dove lavoratrici, lavoratori, richiedenti asilo e migranti si organizzano per dare una voce comune alle lotte.

Secondariamente, per quanto non si discuta sul fatto che secoli di dominazione imperiale e di sfruttamento coatto delle risorse locali abbiano in qualche modo "forzato" l'emigrazione dai paesi dell'Africa, è necessario liberare il proprio pensiero da qualsiasi "scoria" coloniale. Interpretare gli spostamenti di forza lavoro dall'Africa all'Europa come predeterminati da un piano strategico del capitale globale rischia di riprodurre uno dei più antichi atteggiamenti scaturiti dall'incontro coloniale: quella tendenza ad oggettivare l'Altro, a renderlo nelle proprie analisi e nei propri discorsi pedina neutra, mossa liberamente sullo scacchiere mondiale a seconda degli interessi del capitale. Questo significa espropriare gli individui che intraprendono il percorso della migrazione della loro condizione di umanità, prima ancora che di politicità. È solo riconoscendo la dimensione produttiva e potenzialmente rivoluzionaria del progetto migratorio (da intendersi come desiderio spazializzato di mobilità transnazionale) che sarà possibile ricomporre un nuovo soggetto politico molecolare, in grado di trascendere e scomporre dall'interno le frontiere del capitale.


In memoria di Soumalia Sacko, lavoratore.







"L'imperialismo lascia dietro di sé germi di putrefazione che dobbiamo rilevare e rimuovere clinicamente dalla nostra terra ma anche dalle nostre menti" (Frantz Fanon)

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